viernes, mayo 04, 2007

Libertà vs. tolleranza

Tempo fa stavo cercando il significato di alcune parole sul dizionario ed ho scoperto che sono razzista. A dire il vero tutti siamo un po’ razzisti. Secondo il dizionario della RAE, razzista è una persona che ingrandisce il senso razziale d’un gruppo etnico, specie quando questo gruppo condivide spazio con altri gruppi. Perciò, il razzismo non è sbagliato, ma tutt’altro. Il razzismo permette di fare uno studio ed una descrizione antropologica delle razze e dei paesi. Il razzismo permette di fare verifiche dei progressi di certi gruppi e l’inattività di altri. Chè c’è di sbagliato nell’ingrandire e plaudire i progressi ? Il colore è soltanto una scusa facile per menti sciocche. E di sciocchi ne è pieno il mondo.

Ed è per questa ragione che mi chiamo razzista, perchè io discrimino quel gruppo etnico che fa distinzioni per il colore della pelle. Il razzismo possiede soltanto un senso negativo quando la cattiveria umana è presente e vuole imporre per forza quel pensiero razziale.

Ogni nazione tifa per la loro squadra di calcio e non vengono chiamate razziste.

- É normale tifare per la propria squadra-.

Se tuo figlio disputa una gara insieme ad altri bambini della sua età, gli altri genitori non si arrabbiano con te solo perchè tifi per tuo figlio.

- È normale, è mio figlio-.

Ma se ingrandisci il senso razziale del tuo gruppo etnico piovono gli insulti del nuvolone sociale che è il gruppo dei non-razzisti con la loro massima “libertà e tolleranza”.

Queste due parole sono completamente contrarie. Non esiste libertà con tolleranza. Il ragazzo della Sierra Leone che scappa dalla morte e percorre un deserto, scavalca frontiere di sei metri rischiando la vita senza fregarsene delle ossa rotte e della carne sanguinante. Arriva in Spagna e trova un male minore, il razzismo. Secondo me il razzismo fa più male ai “non-razzisti” che al ragazzo della Sierra Leone.

Per questo, da qualche tempo, i “non-razzisti” pronunciano queste due parole in tutti i telegiornali, dibattiti, leggi, ecc. “Libertà e tolleranza”, unite per una congiunzione. Un’unione che io vorrei far sparire, così le due parole ognuna lontana dall’altra, riottengano il loro vero significato.

Ancora con il dizionario tra le mani ho scoperto che tolleranza significa:

1. Soffrire, subire con pazienza.

2. Permettere una cosa illegale senza esprimerlo pubblicamente.

Nello stesso modo in cui un padre tolleri che suo figlio di cinque anni lo sgridi, o che un ragazzo tolleri che i suoi amici ridano di lui per essere più fighi, o nello stesso modo in cui una donna tollera mille soprusi da suo marito, il razzista che non vuole essere chiamato razzista chiama a se stesso “tollerante”.

Tolleranza è la parola più razzista che conosco, perché tollerare significa sopportare gli altri. I “non-razzisti” si chiamano tolleranti, cioè, che sopportano. Sopportare è una parola negativa ed ha un certo odio o disturbo verso gli altri. Per questa ragione la parola tollerante è negativa a sua volta.

Dire “io sono tollerante” è uguale a dire “io tollero i neri, i cinesi, gli indiani…” e così si fanno distinzioni. Quando si parla di bianchi non si dice tollerante, anche se tante volte dobbiamo sopportare i vicini fastidiosi, figli maleducati, mamme pesanti… ma non li mettiamo nel sacco della tolleranza perché sono “cosa nostra”. Ho amici cinesi. Non so per quale stupida ragione gli spagnoli chiamano le femmine d’origine cinese “chinitas”. Questa parola le fa arrabbiare, e capisco perchè. Sicuramente un nero del Senegal si arrabbia se viene chiamato “negrito”, così anche il figlio del nostro vicino Manolo, quello che viaggia così tanto, si arrabbierebbe se a Marrakech un arabo dicesse al suo bambino che è uno spagnolito molto buffo.

Abbiamo due opzioni; imitare i polpi e i camaleonti e dipingere noi stessi dello stesso colore del gruppo razziale dominante, o andare avanti realmente e dimostrare che siamo veramente razzisti perchè discriminiamo quelli che non hanno capito ancora che la pelle è solo una buccia e che la cosa più importante è dentro alle persone.

Per tutto questo ripeto ancora che sarò razzista finchè non ci sarà diversità invece di uguaglianza, finchè non ci sarà integrazione invece di tolleranza. Perché integrare significa completare un tutto con delle parti che mancano, ed è proprio quello, siamo un puzzle, ma alcuni bambini cattivi hanno scambiato i pezzi.

Nonostante tutto mi piace pensare che alla fine arriverà la loro mamma, quella mamma pesante che tutti tolleriamo, e gli dirà che il puzzle gli appartiene e gli chiederà di curare i pezzi perché ogni pezzo fa parte d’un tutto e senza di esso il tutto rimane incompleto.

1 comentario:

Anónimo dijo...

Ya tienes tu cuestionario en tu buzón.
Y hablando de otra cosa, a ver si actualizamos blog, que lleva un mes sin tocar.
Un abrazote